Il primo febbraio 1977, a Roma, i fascisti entrano nell’università, attaccando la facoltà di Scienze Politiche; sparano e feriscono due compagni. Uno di loro è Guido Bellachioma, che prepara a Roma la distribuzione di una nuova rivista che sta per uscire: si tratta di Collegamenti, sottotitolo: per l’organizzazione diretta di classe. Guido rimarrà paralizzato alle gambe e la rivista inizierà una vita scandita dai problemi economici, dalla lentezza della preparazione, dai problemi della stampa, dalle difficoltà della distribuzione. Ma malgrado la sua fragilità — o forse proprio perché la assume come costitutiva — dopo trent’anni continua ad uscire.
I compagni che la diffondono davanti all’università della Sapienza [1], in piena effervescenza di un movimento che si definisce come dei "non garantiti" e vede la propria esistenza sociale come strutturalmente fuori dalle fabbriche, la presentano come "rivista moralista e fabbrichista", sottolineandone ironicamente i caratteri che il movimento in corso sembra guardare come preistorici. Ma perché sottolinearli? Dare una risposta ci rimanda alla composizione della redazione, al dibattito che precede la sua nascita ed ai problemi che si pone.
Fin dal 1975 e nel corso del 1976 si erano intensificati i contatti fra vari gruppi e compagni, in maggioranza di provenienza libertaria — di varie sensibilità, non legati al movimento anarchico ufficiale — di Milano, Roma, Firenze, Torino, Perugia, Parma, Marghera, Pordenone, Reggio Emilia, Napoli, Todi, Perugia e Cagliari, ma integranti influenze consiliari, luxemburghiste, della scuola della composizione di classe. Collegamenti assume dalla nascita quella caratteristica di "rivista di frontiera" che la caratterizzerà per tutta la sua esistenza. Fin dall’inizio il dibattito sarà influenzato dall’assenza di compagni provenienti da situazioni del meridione - e dal fatto che i compagni di Napoli detestano tanto le lamentele sul sottosviluppo al sud quanto quel culto della "napoletanità" allora in voga presso gran parte dei gruppi dell’estrema sinistra — per cui le frontiere geografiche di Collegamenti si situano tra le Alpi e Napoli. L’altro elemento che influenza fortemente la rivista delle origini è la centralità dei collettivi di fabbrica che sono il nerbo del gruppo milanese, il più numeroso e ricco di esperienza.
Il contesto generale di crisi della forma partito e dei gruppi dell’estrema sinistra, la ricerca di nuove forme organizzative, di conflittualità, di lotta, di radicamento sociale, di persistenza di quello che fuori d’Italia viene definito come "maggio rampante" e che dura almeno un decennio, dominano l’immaginario dei compagni che si imbarcano in quest’avventura. E’ questo contesto di forte effervescenza che spinge i sindacati e la Confindustria a siglare nel 76 l’accordo sul punto unico di contingenza, accordo che influenzerà i rapporti di forza tra le classi per tutto il decennio successivo. E’ questo un elemento che viene spesso dimenticato, ma che allora viene percepito come un tentativo di mettere il coperchio su una pentola in piena ebollizione: aprire i cordoni della borsa in cambio di un po’ di pace sociale. In un certo senso la manovra riesce, perché è a partire da questo momento che diventa chiara la frattura fra quelli che sono "dentro" l’impresa (i "garantiti", che beneficiano appunto della garanzia di un salario e di una copertura rispetto all’inflazione che diventerà galoppante negli anni successivi) e quelli che ne restano ai margini, condannati al lavoro nero, al precariato in tutte le sue forme, ad un sottosalario ed al sovrasfruttamento. Ma l’impressione dominante, al momento della nascita della rivista, è che la situazione sia aperta, in piena evoluzione, con grandi possibilità di approfondire la crisi in cui si dibatte il capitalismo italiano.
Schematizzando le diverse componenti che partecipano alla rivista possiamo individuare:
1) vari gruppi che provengono dall’esperienza della Piattaforma di Arscinov, che nel 1973-74 conducono una battaglia politica interna alla FAI per trasformarla in organizzazione "orientata e federata", come dicono allora, capace di esprimere una linea e tenere testa alla concorrenza dei gruppuscoli dell’estrema sinistra leninista.
Espulsi dalla FAI, tentano di dare vita ad una organizzazione di tendenza con le caratteristiche sopra delineate, ma paradossalmente, proprio a causa del loro attivismo, le contraddizioni che si portano in seno scoppiano rapidamente: una parte di essi continuerà a sostenere la necessità di una "organizzazione specifica" rigida internamente ed orientata ad intervenire nel sindacato verso l’esterno, teorizzando un doppio livello organizzativo tra i detentori della teoria (o più libertariamente "della memoria"), e la classe, organizzata dai sindacati, che bisogna ovviamente conquistare, dato che sono visti come un campo di battaglia delle varie tendenze politiche.
La parte più vivace e matura realizza l’inutilità di riprodurre un apparato organizzativo che consuma la maggior parte delle energie dei compagni senza fornire risposte serie ai problemi posti dalla situazione e decide di sciogliersi come organizzazione separata. Rimangono così dei nuclei di discussione composti da compagni che svolgono la loro attività nell’ambito del movimento in senso lato, dentro collettivi di fabbrica o di quartiere, spesso in dialettica con l’area autonoma che si sta aggregando.
Riscoprono e rileggono i consiliari, Mattick, il marxismo critico. Ma il fatto che questi gruppi provengano da una esperienza comune non ne fa un gruppo omogeneo. Al contrario sviluppano tendenze e spunti critici assai diversificati tra di loro. Di questa componente fanno parte il gruppo (poi edizioni) Kronstadt di Napoli [2], compagni di Reggio Emilia [3] (ex-OCL), di Perugia, di Milano (Movimento Anarco-Comunista - MAC) e di Roma (ex FCL). Questi ultimi — che avevano un piede in vari collettivi di quartiere - parteciperanno al movimento del 77 insieme a compagni di origine marxista [4] e saranno vicini all’esperienza della rivista Marxiana. In questo movimento avranno un ruolo importante i compagni che giravano intorno all’ "osteria Melotti", un aggregato che aveva un po’ della comune, un po’ del gruppo informale di affinità, che negli anni 90 sarà all’origine della rivista Vis-à-vis, traducendo e popolarizzando gli scritti di Maximilien Rubel.
2) Il Centro Comunista di Ricerche sull’Autonomia Proletaria (CCRAP) di Milano, che edita fra il 1973 ed il 1975 il bollettino Collegamenti. In precedenza hanno stretto localmente contatti col MAC di Città Studi ed hanno già alcuni contatti a Pordenone e Marghera, come ad esempio Germano Mariti (del collettivo del petrolchimico), con compagni di Parma e di Cagliari. Il CCRAP a sua volta è composto da compagni presenti nelle grandi fabbriche milanesi (Alfa, Sit-Siemens, Pirelli; OM-FIAT, Motta-Alemagna), in varie piccole e medie fabbriche e servizi (Duina, SIP, ATM) e quartieri (Pioltello, Segrate, Gratosoglio, Cernusco, etc.). Hanno esperienze di occupazioni di case [5], del movimento delle autoriduzioni e sono presenti nei "circoli del proletariato giovanile". A Milano sono come il prezzemolo: evitano di apparire come gruppo organizzato e gli interventi "formali", ma la loro presenza si fa sentire in diverse situazioni di lotta. Le loro radici affondano nella ricerca di quel’ "anarcosindacalismo reale" che porterà il gruppo "Azione Libertaria" [6] ad abbandonare la forma del gruppo anarchico per dare vita ad una federazione di collettivi di situazione: l’anti-gruppo "proletari autonomi". Un’area che potremmo definire approssimativamente come la frazione libertaria dell’area dell’autonomia. E’ sicuramente il centro di gravità politica dell’esperienza della nuova rivista.
3) "Autogestione" di Firenze [7], che nel ’74 ha già digerito e rifiutato la "Piattaforma", è un gruppo di discussione composto da compagni che hanno la loro attività principale in collettivi di quartiere, universitari o di zona, da cui viene una componente più tradizionalmente anarcosindacalista (che parteciperà al foglio Per l’azione diretta o alla rivista Autogestione) mentre quella impegnata nella tendenza libertaria dell’area autonoma parteciperà all’esperienza della rivista [8].
4) Marco Baluschi, di Torino, veniva dall’assemblea operai-studenti e da una breve militanza in Lotta Continua ed era legato al mondo militante che gravitava intorno alla FIAT. Aveva maturato posizioni vicine al luxemburghismo e nello stesso tempo rielaborava in modo personale le influenze della scuola della composizione di classe [9].
5) Un caso a parte sono i compagni del collettivo autonomo di Todi, che era stato la sezione locale di Lotta Continua e si era poi spostato su posizioni di tipo anarcosindacalista, pur senza avere una collocazione all’interno del movimento anarchico ufficiale. Partecipano ai dibattiti preliminari all’uscita della rivista ma si allontanano dal gruppo redazionale in formazione sostenendo la necessità di dare vita, più che ad una rivista teorica, ad un giornale di lotta. Ironia della sorte, alcuni mesi dopo inizieranno la pubblicazione di Dissenso Est-Ovest, rivista centrata sui problemi dell’Est europeo, che ebbe il merito di far circolare in Italia materiale a volte poco noto sulla Polonia e l’URSS.
Sarebbe ovviamente interessante parlare dell’evoluzione dei vari gruppi e spezzoni che attraversano o incrociano ad un momento o ad un altro l’area di Collegamenti, ma un lavoro del genere ci porterebbe molto lontano dal nostro progetto iniziale.
Non si capirebbero i contenuti del dibattito della prima serie della rivista se non si tenesse presente il funzionamento della rete a cui questa si riferisce: esistono cioè vari collettivi locali che sono il prodotto di situazioni di lotta, e sono loro a fornire gli orientamenti generali della discussione ed il filo conduttore. Vari compagni che fanno parte di questi collettivi si ritrovano città per città o, quando sono isolati, con quelli geograficamente più vicini; questi costituiscono il primo vero embrione della redazione ed il primo filtro su cui si depositano testi, materiali, documenti, traduzioni, contatti e più generalmente determinano gli interessi da sviluppare nel dibattito nazionale. E’ solo dopo questa scrematura a livello locale che avvengono gli incontri nazionali. In tutto, il dibattito coinvolge qualche centinaio di compagni, mentre alla redazione nazionale partecipano in media una ventina e non sono più di una decina quelli che si impegnano in modo regolare nella scrittura.
Il dibattito preliminare alla nascita della rivista vede la partenza di alcuni dei partecipanti, mentre altri la abbandoneranno lungo la strada: vari compagni di Firenze, quelli di Todi, di Parma, vari di Perugia; fra il 77 ed il 79 diventano più labili i contatti con i compagni di Pordenone e Marghera ed è praticamente inesistente il ricambio. Se aumenta il livello di coesione interna al gruppo redazionale, questo viene pagato con una progressiva chiusura su sé stesso. In realtà questa evoluzione si inquadra in una crisi più generale che investe tutto il movimento in Italia, a partire dal 1977-78.
Si verifica dapprima uno sfilacciamento per finire con l’estinzione della maggior parte dei collettivi di situazione e questo determina il distacco della redazione dall’area delle lotte che l’avevano prodotta. Verso la fine degli anni 70 rimarranno essenzialmente i compagni individualmente interessati alla rivista ed impegnati nell’attività redazionale.
La rivista aggrega i compagni più curiosi intellettualmente ed offre loro un "salvagente" al momento del distacco dai collettivi di provenienza. Si sviluppa fuori da contatti e coperture accademiche ma anche fuori da ogni corrente dell’anarchismo ufficiale, con un occhio più attento all’analisi del conflitto sociale che al rigore formale ed alla coerenza ideologica. Non ha una identità "ideologica" forte, facilmente identificabile ed assimilabile all’anarchismo storico, non ci sono "manifesti" né dichiarazioni di principi anarchici. Questo la escluderà da ogni sostegno economico da parte dei compagni più anziani che lo indirizzano verso pubblicazioni percepite come più ortodosse, e la porterà per molti anni ad essere guardata con una certa diffidenza da parte delle componenti più tradizionali del movimento libertario. Nella redazione non saranno una eccezione le reazioni di tipo moralista di fronte alle carriere universitarie dei professori [10] di marxismo o di anarchismo, come alle carriere sindacali, reazioni forse viscerali all’epoca, ma non per questo meno lucide nel comprendere le capacità dello stato e del capitalismo di riassorbire e riciclare le élites dei movimenti che si sono succeduti nel corso della storia del movimento operaio.
C’è, rispetto al movimento libertario, un tentativo di svecchiamento culturale, un tentativo di allargare l’area delle conoscenze sul terreno della lotta di classe, dello studio dell’evoluzione della società, di assorbire esperienze fatte in altri paesi e da altre correnti di pensiero [11] fino ad allora poco conosciute e studiate in Italia.
Sul piano storico, oltre alle esperienze consiliari, Collegamenti si interessa al sindacalismo d’azione diretta ed in modo particolare alle attività svolte dagli IWW nel corso del primo ventennio del secolo. Il fatto che si sviluppino in una società fortemente industrializzata, nel paese con il più alto sviluppo capitalistico dell’epoca, organizzando un proletariato multirazziale ed immigrato, in provenienza da tutti i paesi del mondo, con sezioni ai quattro angoli del pianeta ed una pratica internazionalista mai eguagliata, con pubblicazioni in 18 lingue, con forme di organizzazione antiburocratiche, una struttura centrale ridotta al minimo ed una rete che vive dell’azione militante, è per noi una calamita insuperabile.
Da un punto di vista generazionale i compagni che si ritrovano intorno alla rivista sono relativamente omogenei, per lo più tra 25 e 35 anni. Molti hanno finito o stanno per finire gli studi e cominciano a lavorare. I più anziani lavorano in fabbrica (soprattutto a Milano) ed hanno già una ricca pratica di lotte. Sono ovviamente gli studenti in via di inserimento nel mondo del lavoro, che dispongono di più tempo e quindi sono maggiormente disponibili per gli incontri della rivista. I compagni che lavorano in fabbrica sono invece più attivi nel dibattito locale (penso ad esempio a Fausto, Salvatore ed Enrico di Milano) che fornisce la base di lavoro per la maggior parte delle riunioni nazionali.
Ma quali sono gli elementi che riuniscono militanti con storie così diverse e delimitano il perimetro del dibattito dell’area di Collegamenti?
Mentre le aree di origine operaista tendono a privilegiare le punte alte delle lotte operaie, nel giro di Collegamenti si tende a sottolineare l’importanza dei comportamenti "medi", constatando il fatto che la radicalità prende un significato di rottura solo se assume valore di senso comune e si trasforma in comportamento diffuso. Il distacco rispetto all’ideologia del lavoro, per esempio, diventa uno degli elementi chiave che accomunano i vari compagni. Un’occasione per approfondire, allargare e confrontare i vari punti di vista sulla questione sarà l’incontro di Bonassola nell’ottobre 1978, che alimenterà per vari anni la riflessione di tutta l’area influenzata dalla rivista. Uno dei livelli più alti dell’attività del gruppo milanese viene toccato proprio nel 1978, al momento del rapimento Moro, quando uno sciopero autonomo ed una manifestazione, organizzata dalla rete di piccole fabbriche in cui sono presenti i nostri compagni, si snoda per la città. I media non ne parlano nemmeno e la criminalizzazione dei comportamenti sovversivi taglia rapidamente le gambe alla rete che era stata messa in piedi.
La critica del marginalismo che si diffonde con il movimento del 77 va di pari passo con la critica dello sport preferito dall’operaismo negrista: la caccia al "nuovo" soggetto sociale. Contro l’idea che al centro della lotta di classe si trovi in una data fase l’operaio-massa, (seguito dall’ "operaio sociale", per finire oggi con una indifferenziata "moltitudine"), Collegamenti ha messo al centro del suo lavoro la necessità di ripercorrere la complessità dell’organizzazione capitalistica del lavoro, delle sue figure parcellizzate, per capire i processi di ricomposizione, dentro la lotta (rifacendosi in questo alle tradizioni meno ideologiche e semplicistiche della scuola della composizione di classe delle origini), e la rete di relazioni che rende possibile questa ricomposizione.
Un atteggiamento comune di fronte al sindacato. Se la maggioranza dei compagni parte da concezioni di tipo anarcosindacalista, occorre precisare che l’area di Collegamenti vi si riferisce non tanto perché ha in testa un modello organizzativo determinato (c’è piuttosto una certa indifferenza da questo punto di vista), quanto piuttosto perché si richiama ad un insieme di contenuti e di pratiche quali l’azione diretta, il rifiuto della delega, la totale revocabilità dei mandati, i tentativi di democrazia diretta, il rigetto della burocrazia, ecc. Si tenta, senza farne un’ideologia né un puro discorso identitario, di capire nella pratica "a cosa in realtà corrisponde la favola bella dell’autorganizzazione di classe". Ovviamente viene integrata la critica al sindacalismo (la sua insufficienza nei momenti di crisi e di rottura, la sua tendenza all’integrazione nei momenti di riflusso) di origine consiliare, ma nessuno l’assume come una nuova religione. Al punto che trent’anni dopo, molti dei compagni sopravvissuti al grande riflusso degli anni 80 e 90, si ritrovano nei più vari sindacati e sindacatini che conta l’Italia di oggi. Qualche Mohicano sopravvive fuori d’Italia, tenendo alta la bandiera della critica pratica al sindacalismo, rifiutando il ruolo di portatore d’acqua al mulino dell’integrazione, cosciente di giocare un ruolo simbolico e minoritario, ma senza spocchia rispetto alle scelte effettuate da altri.
— La critica senza concessioni della logica dei gruppi armati si sviluppa in primo luogo direttamente sul campo. I compagni che lavorano nelle grandi fabbriche milanesi si trovano nella necessità di dimostrare la nocività delle azioni armate rispetto allo sviluppo di coscienza collettiva ed organizzazione autonoma degli operai. Contro la logica di un gruppo di "specialisti" dell’azione armata che pretende di egemonizzare l’azione radicale, imponendo al movimento una delega non richiesta, si trovano sovente fra l’incudine ed il martello: sviluppare una critica concreta, mostrando pubblicamente punto per punto la vanità di questo tipo di azione, può condurre ad essere additato come "delatore" da chi ne approfitta per evitare di rendere dei conti ai compagni di lavoro. L’unica possibilità di critica diventa quindi una critica di tipo generale, ideologico, che è appunto il terreno che i compagni rifiutano. A Roma, nel ’77, la necessità della difesa dei cortei contro le aggressioni dei fascisti e della polizia, assunta dal movimento, si scontra con la logica profondamente dirigista dei gruppi armati e ne uscirà sconfitta, lasciando l’amaro in bocca. La derisione sarà utilizzata per sviluppare questa critica, ma le cose sono andate già oltre la nostra modesta influenza e la nostra area si troverà coinvolta nella più generale sconfitta subita dai movimenti sociali. Su un piano più generale, si mette l’accento sul punto di forza del movimento in quel decennio: la persistenza della conflittualità, l’impossibilità per i detentori del capitale di arrivare ad una società pacificata. Ma si guarda con lucidità anche il terreno su cui lo stato riuscirà ad ottenere la sua vittoria, e verso cui i gruppi armati costringono il movimento: quello dello scontro diretto, militare, con una conseguente criminalizzazione dei comportamenti sociali devianti e delle lotte radicali; l’uso dei pentiti per staccare il militarismo dalle sue basi sociali e più largamente per distruggere quella rete di solidarietà che aveva reso possibili le lotte.
— Basismo e localismo in varie parti d’Italia e fabbrichismo, in particolare a Milano, sono due elementi che segnano la pratica dell’area di Collegamenti. Caratteristiche obbligate, in un contesto dominato dalla criminalizzazione di ogni forma di lotta radicale e di comportamento sovversivo, che costringe i vari collettivi, prima di dissolversi uno dopo l’altro, a ripiegarsi su un terreno familiare, ad assumere una logica di nicchia, di settore, di quartiere, per riuscire a sopravvivere.
— L’ultimo grande movimento che influenza il dibattito della prima serie di Collegamenti è quello degli ospedalieri - e più generalmente del Pubblico Impiego - che nasce in seguito al rifiuto del contratto firmato dai sindacati e che porta ad una quasi dissoluzione delle strutture sindacali in questo settore. Il loro recupero sarà lento e difficile, ma come per il 68, verrà santificato proprio da coloro che vi si erano opposti più apertamente.
— Va riconosciuto infine il debito maturato nei confronti di Primo Maggio, sia per quanto riguarda un certo "operaismo dal volto umano" che influenza la nostra formazione, quanto per la curiosità che stimolano le ricerche storiche sull’ "altro movimento operaio" che la rivista cerca a sua volta di sviluppare o dì popolarizzare.
Le quattro serie della rivista
La prima serie di Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe si compone di 8 numeri - fra il 1977 ed il 1980 - e 5 quaderni fino alla metà dell’83. Parallelamente viene pubblicato nel 1981 un volume degli atti del convegno sul Pubblico Impiego tenuto a Firenze. La descrizione che abbiamo schizzato sopra si riferisce a questa fase della vita della rivista. Sempre fra il 1981 ed il 1983, escono sette numeri di Wobbly, foglio di lotta del precariato sociale, i cui redattori sentono il bisogno di dotarsi di un più robusto strumento di riflessione, ed è questa esigenza che favorisce la ripresa di un lavoro comune con i sopravvissuti di Collegamenti [12].
La seconda serie — di una rivista che si chiamerà Collegamenti-Wobbly — parte dal n° 10 (autunno 83) e arriva fino al n° 33 (primavera 94). La numerazione progressiva continua ma un cambio di testata e di formato (passando dal quaderno in ottavo al formato A4), sottolineano l’esigenza di un approccio, almeno agli inizi, meno teorico e più presente sul campo. Una nuova ventata attivista soffia sulla redazione, ma i riferimenti sociali immediati si sono modificati: al posto delle grandi fabbriche che licenziano, ristrutturano e mandano in cassa integrazione, comincia a muoversi il precariato sociale [13], si formano i comitati di base della scuola, viene avviata la ricerca di una nuova opposizione sociale in una fase di "riformismo al contrario". In realtà questa serie della rivista nasconde varie fasi intermedie e nuove contraddizioni. Le vicende personali dei redattori assumono un peso a volte determinante, data la riduzione numerica dei partecipanti al dibattito della rivista.
Comincia una lunga stagione di scavo, vengono rimesse in discussione le vecchie categorie interpretative, ci si confronta con un lungo riflusso dei movimenti, l’emergenza delle nuove tecnologie ed una modificazione radicale della struttura del proletariato, emerge il dibattito sull’amnistia e la necessità di un bilancio delle sconfitte subite.
In questi anni crollano i regimi cosiddetti "comunisti" e la "democrazia" ed il capitalismo diventano l’orizzonte unico della lotta di classe. La rivista rifiuta di considerare queste condizioni come insuperabili, si confronta con la risorgenza dei nazionalismi e soprattutto con una ripresa della lotta di classe dove sono i padroni ad avere l’iniziativa. Per la prima volta sono i padroni a volersi sbarazzare di coloro che sfruttano: automatizzazione, informatizzazione, scomposizione dei processi lavorativi e distruzione delle vecchie concentrazioni operaie, delocalizzazioni e "delocalizzazioni in loco" (con l’importazione di manodopera e condizioni di lavoro del terzo mondo) sono il nuovo orizzonte con cui si confronta ormai la rivista.
Tra la fine degli anni 70 e quella degli anni 80 vari redattori di Collegamenti collaborano ad una serie di riviste, allargando l’orizzonte culturale ed aprendo contatti in aree vicine: Studi Operai-La Fabbrica Diffusa [14], Metroperaio, Primo Maggio, Azimut, Autogestione, Umanità Nova (fino a tutt’oggi) e molti altri periodici aprono le loro colonne alle nostre problematiche. Con risultati immediati molto modesti, occorre riconoscerlo. Ma sul lungo periodo consolidano la rete che conosce e apprezza il lavoro della rivista.
Un capitolo importante, fin dall’epoca del bollettino milanese che ha preceduto la rivista, sono i contatti internazionali, l’attenzione prestata alle esperienze teoriche, storiche o di lotta vissute altrove.
Se i contatti del CCRAP con compagni francesi che vengono dalle esperienze di ICO, Lutte de Classe, Socialisme ou Barbarie, Mise au Point, Spartacus, ecc., risalgono alla fine degli anni 60 ed ai primi anni 70, verso la fine degli anni 70 si cominciano ad avere dei rapporti con i compagni tedeschi che editano la Karlsruher Stadtzeitung, di Karlsruhe, che poi diventerà un gruppo a carattere nazionale ed editerà la rivista Wildcat. Negli stessi anni si sviluppano contatti con il collettivo spagnolo di Etcetera, i francesi di Echanges, e, successivamente, dei Cahiers du Doute e del "Cercle Berneri".
Uno spazio importante viene riservato nella rivista al lavoro di traduzione sia di testi di analisi teorica (Mattick, Rothbart, Castoriadis, Lefort, Ebbinghaus, Roth, St. James, Galàr, Reeve, Velasco), che sulle esperienze e le lotte (Simon, Linebaugh e Ramirez, Fox Piven e Cloward, Processed Word, Brown, etc.) ma nel corso degli anni, i contatti internazionali hanno un andamento tutt’altro che lineare. In particolare la serie che si sviluppa tra il 1995 ed il 2001, segna un forte ripiegamento sull’Italia e sottolinea un passaggio critico.
La serie che arriva fino al 1994 è probabilmente la più ricca sul piano teorico, dell’analisi, dei dubbi, delle domande su noi stessi e sulle nostre categorie di analisi ed al tempo stesso sulla loro pertinenza rispetto al conflitto sociale. E’ vero che si vive un rivolgimento mondiale di portata epocale: crolla "l’impero del male", come le definisce Ronny Reagan, ed il capitalismo si impone su scala mondiale come l’unico orizzonte sociale, mentre la "democrazia" definisce i limiti del possibile e del desiderabile in politica. Tutto il resto diventa utopia, terrorismo, arcaismo e viene espulso dall’orizzonte della convivenza civile. Di fronte ad un simile terremoto la rivista cerca di non lasciarsi destabilizzare, mantiene i contatti con alcuni compagni svizzeri, francesi, spagnoli e tedeschi e continua a ragionare sulle trasformazioni in corso, sull’emergenza dei nazionalismi, sul declino del conflitto sociale, sul "riformismo al contrario" che si impone ormai alla classe operaia dei paesi occidentali a capitalismo maturo [15]. Negli anni in cui si sviluppano le esperienze dei cobas, del COMU e delle RdB, vengono messe le basi per la nascita di quello che a partire dal 92 diventerà la galassia del "sindacalismo alternativo". In questi stessi anni il dibattito della rivista si trasforma gradualmente accettando il nuovo orizzonte del possibile quanto alle forme ed alle strutture della lotta di classe in Italia.
Negli stessi anni si sviluppa un dibattito intenso quanto informale sul carattere, le finalità ed il destino della rivista. Per vari numeri esplode la veste grafica che diventa quasi lussuosa. Un po’ ironicamente c’è chi dice che, più che una rivista di analisi, sta diventando una rivista di fotografia, ma con l’allontanarsi del compagno che alimenta i grafismi, si torna ad una normalità piuttosto austera e, negli anni successivi, a volte deludente. Sempre nella seconda metà degli anni 80 prende forma la tendenza verso una modifica del terreno di analisi tradizionale della rivista, espressa da una parte della redazione milanese, che sembra quasi voler passare dal livello delle comprensione della società e delle lotte sociali a quello dell’analisi filosofica. Anche questi spunti ricadranno nel momento in cui i compagni che ne erano portatori si allontaneranno dal gruppo redazionale.
Tra il 1986 ed il 1991 escono — in seguito ad una iniziativa pressoché individuale — 14 numeri di un bollettino confidenziale: Collegamenti-Wobbly lettere, che raccoglie corrispondenze, recensioni, segnalazioni bibliografiche e tutto quel materiale che non riesce a trovare posto nella rivista a stampa. Mentre questa ha un carattere più "solenne", il bollettino apre dibattiti informali e vivaci, favorisce gli scambi, fa circolare materiali sulle lotte, pubblica traduzioni. In altri termini, mentre la rivista sembra avere delle difficoltà a discutere esplicitamente varie questioni che rimandano alla sua stessa esistenza, il bollettino pone i problemi in maniera più agile e veloce, permettendone l’elaborazione e la digestione.
La terza serie della rivista conta 11 numeri, quasi tutti doppi, usciti tra il giugno 95 e la fine del 2001. Per Collegamenti è un periodo faticoso, dove la lentezza dell’elaborazione si unisce alla difficoltà di produrre dei testi originali legati alla situazione in movimento. La redazione è in questo momento ridotta all’osso e l’appoggio che ci viene dalla BFS di Pisa, che assume il lavoro di edizione, ci aiuta a sopravvivere nella traversata del deserto. L’amministrazione prima, e la redazione centrale poi, passano a Genova.
In questo periodo la parte più attiva della redazione è impegnata a far vivere (Sindacalismo) Di Base, una rivista che ha l’ambizione di riunire intorno allo stesso tavolo tutte le frazioni di origine libertaria che lavorano nei sindacati. Purtroppo, dopo una dozzina di numeri usciti fra il 1996 ed il 2000, si trova costretta a chiudere dato che solo i compagni venuti da Collegamenti e militanti nella CUB, continuavano ad alimentarla. La fine della rivista conferma la constatazione — nota e ripetuta — che le logiche di appartenenza ad una sigla sindacale, finiscono per avere la meglio sullo spirito libertario che dovrebbe unire al di là della parrocchia.
Ma non tutto il male viene per nuocere, dato che la crisi di Di Base libera delle energie che si investiranno nuovamente in Collegamenti-Wobbly. Riparte una nuova serie, la quarta, che ha prodotto dal giugno 2002, fino ad ora, 11 numeri. Il contesto europeo si impone ormai come orizzonte naturale della problematica della rivista. La redazione si allarga a poco a poco ad una generazione di compagni più giovani, mentre vecchi contatti internazionali vengono rivitalizzati e nuovi collaboratori cominciano a fornire testi dai quattro angoli del pianeta. La nascita de La Question Sociale offre una sponda dall’altro lato delle Alpi e aggiunge un tocco di sistematicità all’eclettismo della rivista.